Un viaggio a Venezia nel 1984.  Uno dei tanti; Venezia lo affascinava, ma forse fino a quel momento non aveva messo veramente a fuoco quali fossero gli elementi che in modo così viscerale lo attraevano.  Fu un vecchio portone (quello che poi avrebbe dipinto e battezzato “Il portone dell’Inquisizione”) a fargli comprendere quale fosse l’intimo meccanismo del tempo che traspirava e traspariva da ogni frammento di quella città.   Non fu il carnevale fantastico che rinasceva, non ancora mercificato, in quegli anni, per quanto poi il contrasto che legava la vita delle maschere e dei costumi con la morte dei muri, dei legni, delle pietre gli sarebbe servito a rendere un’atmosfera e una dimensione sottili.  Ma non fu il carnevale la molla ; anzi, il suo modo particolare di sfumare le atmosfere del carnevale traduceva suggestioni che partivano da altre motivazioni.   I costumi intesi come fantasmi, le maschere in vetrina, spesso accostate alle figure riflesse nel vetro, gli interni dei negozi resi con gli stessi sviluppi di colore dei portoni e dei graffiti, tutto concorreva a suggerire un gioco complesso tra il passato e l’oggi, quello che Franco Solmi definì “la memoria presente”.

Certo fu come una rivelazione, attraverso la quale in Venezia ritrovò gli stessi elementi che l’avevano attratto nella palude.  E, nonostante le apparenze, non fu affatto una concessione al figurativo.   Lo espresse benissimo Franco Camporesi, indicando : ... la silenziosa e timida presenza della mediazione della pittura informale, ma nella versione emiliana e lombarda di “ultimo naturalismo”, secondo la nota definizione di Arcangeli.
Ed un critico, celato dietro lo pseudonimo di Spectator, nel dichiarare “Realtà e sogno sono la caratteristica principale di questa pittura signorile e colta”, parlò di una netta impressione di immergersi in un fluttuante clima di sogno.  

 

alcune opere ...