Giorgio Spada era originario di Ravenna e a Ravenna aveva vissuto l'infanzia e gran parte della giovinezza.  Il luoghi della giovinezza segnano la parte più profonda della mente, sono la casa, la dimensione nella quale per tutta la vita si tornerà, con minore o maggiore rimpianto, almeno col pensiero.  Un'aria dall'odore inconfondibile, una luce particolare, rumori amici.  Dietro casa, per Giorgio, c'era la Pialassa, c'erano le paludi, vicine come può essere vicino un campetto di gioco o la bottega preferita o l'angolo nel quale ci si può sentire soli quando se ne sente la necessità.
Questo rapporto quasi familiare del bambino con la palude divenne nel pittore anche gioco di ricordo cromatico, lo scrigno nel quale il verde non era un colore, ma una combinazione fertilissima di colori.  Il verde per la tavolozza è uno dei colori più difficili, ma è anche quello che offre più licenze di toni, più stimoli di accostamento, tanti per quanti la natura stessa ne genera.  Un'infinita gamma di alchimie.
Per quasi tutti gli anni Sessanta la palude rimase il tema centrale del suo dipingere e gli fornì l'alfabeto che gli avrebbe poi permesso di leggere il linguaggio non sillabato delle cose.  Per questo anche nei decenni successivi, da qualunque parte volgesse lo sguardo e qualunque realtà, o irrealtà, ritraesse, il senso della coesistenza tra dissoluzione e rinascita riuscì sempre a trasparire dalle sue tele.  A volte le paludi si trasformarono in paesaggio, a volte per contro lo sguardo scelse il primo piano; muschi, sottobosco, sterpaglie, sabbie, raramente contaminate da tracce della presenza dell'uomo.  Altrove la visione d'insieme e l'infinitamente piccolo si fusero fino a raggiungere l'informale, nel tentativo o meglio nella tensione di catturare e narrare l'essenza stessa di quelle alchimie.

alcune paludi ...

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