Manifesti. Voci sui muri
finchč la loro funzione di comunicare ha un senso, se pure senso unico. Per
qualche giorno, qualche settimana, al massimo mesi ma soltanto sui muri
dimenticati. Poi puri e semplici oggetti, destinati allo strappo, alla
dissoluzione, a vedersi sovrapporre altri messaggi, pił o meno perentori, pił o
meno colorati, coi quali fondersi alla prima pioggia per perdere in breve tempo
identitą e leggibilitą. E' proprio allora che i brandelli di carta possono
costruire forme, perdersi in accostamenti dettati da un'assoluta, splendida ed
imprevedibile casualitą. Diventano quasi elementi di un paesaggio che non ha
pił nulla dell'armonia naturale ed ha abbandonato anche le strutture e i ritmi
costruiti dall'uomo. Conquistano un'armonia tutta loro, che aspetta soltanto
di essere letta. Giorgio Spada cercava spesso armonie negli spazi meno ovvi,
quegli ambienti non codificati che stanno ai margini di ogni ricerca estetica.
Armonie nei liquami di palude, tra gli sterpi, nei giornali accartocciati, nelle
spugne usate e poi sui muri sbrecciati, tra i portoni consunti dal tempo, fino a
condensare quel filo che al di lą di ogni forma conduce allo stupore per la
bellezza. Quel filo passava anche per i muri quotidiani, quegli spazi sui quali
l'occhio raramente si posa quando appaiono trascurati ed apparentemente privi di
messaggi, che suggeriscono anzi fastidio perchč rompono equilibri visivi.
Nel 1973 dipinse un paio di tele che riprendevano confusioni di lettere e di
colori su un muro. Una di queste si intitolava "Morte del manifesto", ed era
raro che i suoi quadri fossero ingabbiati in un titolo. Ma in quella tela vi
era l'intuizione di un mondo che si apriva ai suoi pennelli e che avrebbe
sviluppato solo qualche anno pił tardi, all'inizio degli anni Ottanta per poi
accompagnarlo, anche se non in via esclusiva, piuttosto come una ininterrotta
serie di parentesi, per oltre un decennio. Senza bisogno, spesso, di titoli,
perchč i racconti suggeriti da quelle forme soffrivano ogni gabbia.
alcuni manifesti ...